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Lettera finta: le vere vittime sono i prof

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La storia è nota a tutti, ormai: il giorno del famigerato decreto Letta per l’assunzione dei giovani, nelle redazioni di parecchi giornali è arrivata la mail di una sedicente professoressa, membro interno agli esami di maturità, che narrava una storia straziante: il padre di uno dei suoi alunni – il quale lavorava part time in una pizzeria in attesa del diploma – le aveva a suo dire telefonato per supplicarla di bocciare il ragazzo all’esame, perché il padrone della pizzeria aveva assicurato al giovane una assunzione ma solo se non risultava in possesso del diploma di scuola superiore, per poter ottenere così gli incentivi promessi dal Governo.

Nonostante la tempistica della cosa fosse un po’ sospetta (il padrone della pizzeria doveva avere dei riflessi prontissimi, perché nemmeno erano usciti i flash di agenzia che già aveva telefonato al padre dell’aspirante pizzaiolo; questi, ancora più fulmineo, era riuscito a rintracciare il numero della prof, mettersi in contatto con lei e richiedere la bocciatura, e la docente, anche lei una scheggia, fra montagne di pacchi di elaborati da correggere per la maturità e adempimenti vari, aveva trovato il tempo di scrivere una lettera risentita, trovare gli indirizzi di tutte le redazioni, inviarla e rispondere alle telefonate dei giornalisti per approfondire la vicenda), alcuni giornali ed editorialisti di grido, fra cui Gramellini, hanno creduto alla storia, imbastendoci su editoriali indignati, alcuni per altro usciti la mattina dopo, cioè quando Enrico Letta aveva già ampiamente chiarito che l’interpretazione del padrone della pizzeria e del padre preoccupato era sbagliata, in quanto il decreto non prescriveva assolutamente che si potesse essere assunti con gli sgravi solo ed esclusivamente se non si era in possesso del diploma delle superiori.

Poi, badabùm, la rivelazione: la storia era una bufala, inventata da una agenzia pubblicitaria per – hanno giustificato così – “suscitare dibattito sulla faccenda”, e i cui copy avevano scritto la lettera della sedicente professoressa, divertendosi poi a menare per il naso i giornalisti e rispondendo alle loro interviste in modo altrettanto farlocco.

La grande indignazione, a questo punto, è venuta dai giornalisti turlupinati, Gramellini in testa, i quali hanno assicurato che sì, è vero che avevano preso un granchio, ma la colpa era di questi incoscienti a malfidati dell’agenzia, che avevano apposta giocato sporco. Sembra dunque che le vere vittime di questa vicenda siano loro, i giornalisti, i quali però per mestiere dovrebbero essere molto diffidenti sulle storie che vengono loro raccontate e controllarle bene, e quando non lo fanno un pochino di ingenuità o di incuria professionale la dimostrano. Non una parola, invece, sull’unica categoria professionale veramente infamata a titolo del tutto gratuito da questa operazione, ovvero quella degli insegnanti.

Voi direte: ma perché? L’insegnante pietosa ed indignata che scrive alle redazioni per denunciare la situazione paradossale del suo alunno è una figura positiva, no? E io, che insegnante sono, vi rispondo: no, col cappero. L’insegnante “disegnata” dal racconto è nel migliore dei casi una cretina con gravi carenze professionali, la logica di un mollusco ed un bizzarro senso dell’etica. Cominciamo dall’inizio: già è curioso e professionalmente discutibile che un commissario interno ancora sotto esami accetti di parlare con il padre di uno degli esaminandi (se ci sono comunicazioni da fare, si passa per la segreteria), per di più per telefono (quindi senza avere nemmeno la certezza di chi c’è dall’altro capo del filo, o avere testimoni o poter registrare la conversazione), discutendo di dettagli personali dell’alunno (che, ricordiamocelo, fa la maturità, quindi è maggiorenne, e per la legge della privacy è il solo autorizzato, eventualmente, a parlare di sé con la docente), e tralasciamo pure il fatto che la docente, una volta ricevuta la richiesta, avrebbe al limite dovuto limitarsi a spiegare al padre che non poteva assolutamente “pietire” una bocciatura, ma, se proprio il figlio non voleva più prendere il diploma, era sufficiente che desse comunicazione del suo ritiro dall’esame.

Avrebbe inoltre potuto aggiungere che, in ogni caso, la legislazione vigente prevede già la possibilità di stage e di contratti di apprendistato per persone con il diploma, e quindi, prima di prendere decisioni drastiche, invitare il padre ed eventualmente anche il possibile datore di lavoro a parlare con il responsabile per l’Orientamento che ogni istituto ormai ha, e che in genere è un docente esperto nelle varie normative.

Invece questa immensa idiota, quando si trova di fronte ad un padre che le cita una normativa appena illustrata e divulgata solo attraverso un lancio di agenzia – si era, ricordiamolo, nel pomeriggio – e in base ad un sentito dire le chiede di bocciare il figlio, invece di fare quello che farebbe qualsiasi insegnante sano di mente e professionalmente preparato, e cioè calmare il genitore, spiegargli che è meglio aspettare di leggere almeno il decreto completo, perché i riassunti dei giornali e i lanci dell’Ansa non sono documenti ufficiali e non fanno testo, quindi precipitarsi a cercare in rete il testo reale del decreto, leggerselo e richiamare il padre per rassicurarlo, perché è scritto con una serie di disgiuntive (è una insegnante di italiano, caspita, è in grado di capire quando una condizione viene posta come alternativa tramite una o!), che fa? Non risponde, lascia il padre – e il figlio, e l’intera famiglia – nell’incertezza e perde tempo, senza informarsi, a scrivere una lettera strappalacrime ai giornalisti di tutta Italia, per di più coprendo la vicenda con un velo di anonimato del tutto risibile, perché, una volta scoperta la sua identità, risalire per i compagni di scuola e i vicini di casa al nome dell’alunno sarebbe stato facilissimo.

Questa, signori miei, non è un’insegnante comprensiva. È una deficiente, per di più pericolosa. E tu, caro il mio copy dell’agenzia del cavolo, con questa tua storia “credibile” ed inventata ad hoc hai gratuitamente spalato letame su una categoria intera e su centinaia di bravi insegnanti coscienziosi, che invece, forse tu non lo sai, non solo ci penserebbero mille volte prima di spedire una lettera simile ai giornali, ma che di solito, visto che si occupano alle superiori ed alle medie di orientamento, conoscono mediamente meglio di te le legislazioni sul lavoro e le possibilità di ottenere stage e contratti di formazione, e pertanto, prima di dare informazioni falocche o di creare casi inesistenti, andrebbero a ripescarsi almeno il testo del decreto per rispondere in maniera esaustiva e dissipare i timori di padre e allievo.

Be’, caro copy, che dire? Non ho capito che volessi dimostrare con la tua geniale trovata: che si possono ingannare senza problemi i giornalisti? Che si può creare un caso mediatico inventandosi una storia falsa e neppure tanto ben puntellata? Ci sei riuscito. Vorrei capire però perché, per farlo, non ti sei neppure posto il problema di che figura di cacca stavi facendo fare agli insegnanti italiani, il cui lavoro silenzioso evidentemente non conosci, e che invece sono stati dipinti ancora una volta, grazie alla macchietta della tua docente, come una massa di cretini con l’attitudine da dama di S. Vincenzo per di più piagnona, in grado di prospettare, come soluzione ad un problema reale, solo una lettera all’editorialista di turno: che è come pretendere, se si ha la peste bubbonica, di guarirla scrivendo a Elisir.

Grazie, caro copy. Dopo anni di attacchi alla categoria da parte di politici, ministri, imprenditori, e cialtroni vari decisi a dimostrare che siamo fannulloni mangiasoldi, qualcun altro che ci insultasse gratuitamente e ci dipingesse come incompetenti e inutili ci mancava. E, stavolta, non capisco neppure a che pro.


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